De senectute

Raccolgo la sfida di Eugenio e la metto sul piano socio-sanitario-poetico-culturale. Perchè a Santa Maria della Versa, per la terza volta quest’anno (anzi, per essere più precisi, negli ultimi quattro-cinque mesi) mi è accaduto un fatto podistico spiegabile solo ricorrendo alla psicologia o alla medicina. Potevo intitolare questo post “Confidence”, nel significato di “sicurezza di sè”. Oppure, volendo essere meno indulgente con me stesso: “Too much confidence”. Ma propendo per una terza via, un po’ ironicamente e un po’ no. Perchè, in definitiva, è vero che sono più sicuro di me, ma è altrettanto evidente che sto invecchiando…

La prima volta è successo a Gambolò (non i 7 cortili, l’altra). Parte la corsa (competitiva Uisp) e io, dopo un paio di chilometri, mi rendo conto di non essere a conoscenza della lunghezza del percorso. Per quanto il Torti podista sia assolutamente modesto, ho pensato che gli sarebbe servito sapere se la corsa fosse di 3, 5, 10, 15, 42 o 100 chilometri. Così, giusto per sapere più o meno quale andatura tenere. Il dubbio, tra l’altro, mi assale in un momento di “vuoto”. Sono una ventina di metri dietro un gruppetto che mi precede, e altrettanti metri avanti il gruppetto che mi segue. Non so a chi chiedere, ma forse è meglio così. Un po’ mi vergogno. Dopo circa venti minuti di corsa, vengo a sapere da un tizio con bandierina rossa l’esatto chilometraggio. Sollievo.

La seconda volta è successo a Giussago, sempre competitiva Uisp, stavolta serale. Mi presento alla partenza convintissimo che la gara sia sui 10 chilometri, come da volantino (che naturalmente riportava i percorsi anche non competitivi). Partono tutti come schegge e io, nelle retrovie, mi chiedo se si sono tutti dopati o io sono diventato una pippa clamorosa. Il mistero mi si svela poco prima del sesto chilometro, quando taglio il traguardo in largo anticipo rispetto a quanto avessi preventivato.

La terza cosa strana mi capita, appunto, a Santa Maria della Versa. Non so quando e come, ma finisco sul vecchio percorso, ancora contrassegnato sull’asfalto dalle frecce rosse giusto appena un po’ sbiadite, ma nemmeno tanto. Il cambio di percorso non ho idea dove sia avvenuto. So solo che sono partito con altra gente (quindi, suppongo, sulla retta via) e a un certo punto (avevo l’Ipod acceso, probabilmente mi ero estraniato) mi sono ritrovato da solo sulla salita per Golferenzo, mentre gli altri (tutti gli altri) zampettavano verso Donelasco. Siccome non c’era l’ombra di un podista nè di un rifornimento nè di anima viva (a parte le squadre di vendemmiatori), ho accettato serenamente l’idea di aver sbagliato strada decidendo di continuare la salita fino a esaurimento forze. L’allenamento in solitaria non è malaccio, a parte l’assenza di comfort. Torno a valle, attraverso Santa Maria tra gli sguardi attoniti dei paesani (era evidente che ero un cane sciolto, o un  podista smarrito)  e arrivo a Villa Maggi dopo aver percorso 16 chilometri, poco meno di quelli previsti dal percorso vero. Per rifondermi dei rifornimenti saltati, mi attacco a una bottiglia di tè freddo e me la scolo alla salute dell’Avis. Me ne sono tornato a casa molto sicuro di me, eppure un po’ invecchiato dentro. La trovo una cosa molto podistica. 

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