Il trail dei cinghiali: un’altra avventura del nostro Augusto

Il nostro Augusto ci racconta un’altra delle sue splendide avventure. Stavolta ha partecipato al Trail dei Cinghiali in provincia di Ravenna. Noi lo ringraziamo per i suoi graditissimi contributi, ed invitiamo anche gli altri avissini a raccontarci le loro corse.

Sabato 30 novembre si è tenuto il “trail dei cinghiali”, una distanza di 60 km e un dislivello totale di 8000 m.
Eravamo nelle alte colline a sud di Imola, un paesaggio simile al nostro varzese (altezza tra 400 m e 800 m), ma con boschi per fortuna meno fitti e vedute decisamente più panoramiche.
L’ho deciso all’ultimo, attirato anche dal circuito costituito da un anello da 14,5 km seguito da uno diverso da 15,5 km, entrambi da ripetere due volte.
Insomma, volevo vedere se ripetere il percorso mi avrebbe aiutato a dosare le forze.
La sera prima trascorre a cena con 3 friulani conosciuti là, dormiamo insieme nelle camerate (avevo il sacco a pelo e di solito dormo direttamente a terra, stavolta c’erano addirittura i materassi) e la mattina dopo alle 6 partiamo.
E’ buio, e l’alba sorge magica tra le vette intorno: l’aria è fredda e tersa, il cielo è un incendio su sfondo che da blu scuro schiarisce e diventa un bell’azzurro senza nubi.
Si corre bene, tanto single-track e poca possibilità di superare (parto sempre in fondo e poi mi ritrovo a andare più veloce dei miei compagni).
Il terreno è duro, a tratti innevato; l’atmosfera è particolarmente amichevole e le chiacchiere coi trailers si sprecano.
Bello correre così, e intanto finisco il primo giro; al ristoro mi fermo, c’è De André alla radio e birra alla spina.
“Perdo” dieci minuti, ma ne vale la pena.
Attacco il secondo e subito piedi a mollo in un guado; non soffro il freddo quindi non ci bado, si sale costantemente e poi si scende in un bosco, fino al secondo guado dentro all’acqua fino a quasi il ginocchio.
E’ divertentissimo, nuovo ristoro e birra, salita dura ma sempre di corsa leggera.
Discesa e fine secondo giro: adesso guardo l’orologio e vedo che ho fatto lo stesso tempo del primo, sono a metà e mi stupisco del mio cronometro, questa distanza associata a questo dislivello per me significa poco meno di 10 ore, invece se mantengo il passo posso chiudere in poco più di otto ore e mezza.
Inizio il terzo giro (dopo una birra) e aumento in salita.
Corro bene, scambio volentieri parole con chi incontro, mi sento in forza e proseguo col mio passo.
Ripeto il primo (adesso terzo) giro e con mia sorpresa sto mantenendo il tempo, quindi attacco il quarto (prima era il secondo) e ultimo giro.
Accidenti: io non uso i bastoncini e adesso la lunga salita è un calvario di fango che si appiccica alle suole con un peso che si fa sentire, e inoltre trasforma il tracciato in un tapis roulant dove è difficile addirittura stare in piedi.
Ma è parte del gioco, e non me la prendo (con chi, poi?) andando avanti metodicamente.
I due guadi non mi puliscono le scarpe, solo la salita finale riesce a togliermi la mota grazie al fondo più sassoso e irregolare.
Mi fermo, fotografo un fantastico albero di cachi con una balise irrealmente azzurra, guadagnandomi i complimenti di un compagno di corsa: gli sembra stranissimo che nelle nostre posizioni in classifica e con la stanchezza che abbiamo nelle gambe io mi fermi a far foto, ma l’immagine mi piace un sacco e la catturo.
E’ l’ultimo strappo, capisco che le nove ore non saranno alla mia portata ma lo stesso tengo il passo: io non corro mai contro niente e nessuno, solo io sono messo alla prova contro me stesso, e questa volta mi piacerebbe sorprendermi.
Potrei accellerare, ma ribecco un trailer con cui avevo parlato prima.
Bon, lo affianco e cominciamo a scambiarci le impressioni e le esperienze passate, mi passa di testa sprintare come potrei fare, ci accompagniamo all’arrivo e lo tagliamo insieme in pochi miunti oltre le nove ore.
Sono stanco, stavolta davvero, ma la medaglia di legno da finisher è un bel premio e il tempo finale (e la classifica) una grande soddisfazione.
Non mi faccio la doccia, bevo un paio di bicchieri di vino che mi rimettono un po’ su, al solito ho lo stomaco chiuso quindi mi metto una felpa e bello inzaccherato salgo in auto.
Torno a casa, sono 280 km che filano via al pensiero di una bella giornata e di un trail organizzato senza pretese o sponsor, che si è rivelato un bel sogno realizzato.

 

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