Augusto al Quadrifoglio Ultra Trail, 100 km per 4500 m di dislivello positivo

Era un po’ di tempo che in nostro Augusto non ci raccontava le sue avventure di trail. Ed ecco che ora ci ha mandato questo  articolo vivace e schietto, come sempre. Grazie Augusto, ti facciamo i nostri complimenti per il tuo coraggio ed aspettiamo un tuo nuovo racconto tra un mese sul trail in Francia !

Questo trail non è stato il primo di quest’anno, ma il primo a 3 cifre. E ha una premessa.
Stavolta non giocavo per pareggiare ma per non perdere: due settimane prima ho avuto l’idea un po’ bislacca di farmi una notturna da Pavia al Penice (poi ritorno in auto con la famiglia che mi attendeva là), e il risultato è stata una tendinite al ginocchio destro, che mi ha tenuto fermo per tutti i 14 giorni seguenti.
Ci provo lo stesso e venerdì pomeriggio parto: Quadrifoglio Ultra Trail, 16-17 maggio, 100 km per 4500 m di dislivello positivo, Borgo Val di Taro come partenza, arrivo e crocevia di un percorso che si articola su 4 petali tra boschi e sterrati, quota minima 400m e massima 1550m; un bel su e giù abbastanza corribile e mai tecnico.
Conto di tornare a casa senza perdite, ovvero di non riacutizzare la tendinite, per cui andrò sempre di conserva e stando attento in discesa a mordere il freno per non “pestare” e caricare il ginocchio, nella speranza di non rendere vano il lavoro del fido fisioterapista (che ringrazio una volta ancora).
La notte in palestra è su brande e materassi che l’organizzazione mette a disposizione, dopo un pasta party con dolce finale. La partenza comoda alle otto ci vede in una sessantina, subito a palla con mia sorpresa .
Il primo petalo di 27 km è divertente e scorre in fretta: c’è fresco e solo il dente finale costringe alla marcia forzata con i palmi delle mani a spingere sulle ginocchia; lo chiudo in tre ore e mezza.
Ristori e balisaggio (da qui alla fine) impeccabili, ben disposti e abbondanti: oggi mi va di andare con roba dolce e allora sono pezzi di crostata il mio carburante: il ristoro di Borgo Val di Taro, da cui passeremo per 4 volte, è quello più fornito, anche di birra che per me che non bevo coca cola è un toccasana.
Il secondo petalo sono 33 km, una ascesa costante per i primi 14 e una pioggia abbondante per più di mezzora quando manca poco alla cima; il bosco è un continuo mangia e bevi, uguale a se stesso e perciò abbastanza noioso, con la voglia di arrivare in cima che inietta le prime dosi di una piccola crisi.
Riesco a disperderla parlando a voce alta da solo, ragionando e convincendomi che è tutto nella mia testa per la voglia di finirla con la salita e di arrivare a un punto qualsiasi del percorso, che però è anche un punto miliare alla quota più alta, dove il dislivello positivo sarà già a ben più della metà.
Arrivo e scendo: non lascio mai andare le gambe per la paura legata al ginocchio, e non ho ancora capito se il legamento incriminato verrebbe più sollecitato da una andatura sostenuta oppure da questo continuo mordere il freno a furia di quadricipiti.
Alle cinque arrivo al borgo, il terzo petalo è da 25 km e si sale meno, ma è molto irregolare e sembra non finire più; entra la sera e quasi mi sorprende il buio che all’interno dei boschi compare sempre all’improvviso: la luce che filtra attraverso i rami e le foglie diventa ombra piena e tiriamo fuori le frontali.
Grazie al buon passo mi sono lasciato dietro il tratto dove qualche (purtroppo sempre più frequente nei trail) figlio di innominabile ha tolto le balises, costringendo l’organizzazione a rimetterle al volo, ma del tipo non riflettente; non so come ne usciranno quelli dietro di me, spero se la cavino con le (poche) tracce di vernice fluo sui massi.
Appena dopo un ristoro pantagruelico (focaccia calda con salsiccia, banane, torte, pane, schiacciatina, sali, birra) mi affianca la seconda in classifica, e cominciamo a parlare.
È una che ha finito il Tor des Geants (330 km per 24.000 m di positivo), e era la sua prima sopra ai 100. Una matta, in pratica.
Arriviamo a Borgo, ma lei ha dietro la terza e mi chiede di partire subito e di accompagnarla; ne approfitto volentieri, ultimi 17 km con poco dislivello, ma sono le dieci e chiaramente la stanchezza si fa sentire.
Questa tira come una dannata, per starle dietro sono costretto a correre sui falsopiani mentre lei ha una falcata costante e veloce; ma mi fa bene, questo non è il mio passo ma vale la pena alzare il numero dei giri con la prospettiva di finirla il prima possibile.
Ristoro, anello di 6,5 km e stesso ristoro: nel frattempo ho lasciato i miei compagni, per quei 10 minuti scarsi in più o in meno sul tempo finale non vale la pena strozzarsi, tanto più che l’obbiettivo era quello di finirla con qualunque posto in classifica visto che ero partito con questa croce del ginocchio, e che mi ha graziato fino a qui.
Adesso mi siedo, mancano 3 km di discesa, parlo coi volontari e mi bevo un bicchiere di vino bianco; vado giù e dopo un paio di km mi affianca la terza in classifica, con cui inizio a parlare e a dire due stupidate, sia per far passare questi ultimi minuti che per stemperare la tensione, e anche per riconnettere col mondo che dopo quasi 100 km ha una dimensione vagamente distorta.
Ecco l’auto, ecco la palestra, ecco il gonfiabile: sarei l’ultima delle carogne se non lo facessi, e allora lascio il passo alla mia compagna e taglio il traguardo pochi secondi dopo di lei, ritrovando la seconda arrivata da pochi minuti che ha qualche dolore alla tibia.
Io invece sto decisamente bene, non è ancora la una e mezza e finalmente mi siedo un po’ senza la prospettiva impietosa di dover ripartire poco dopo; niente pasta party, rubo qualche pezzo di torta al cioccolato per la colazione dei figli e una birra per me, cento metri e salgo in auto per tornare a casa.
Sono due ore abbondanti di crampetti mentre guido, ma sono sveglio (a casa riuscirò anche a mettere a posto la roba) e contento.
Bradabamm, plano sul letto poco prima delle cinque dopo una doccia epica: pure stavolta è andata e davvero non vedo l’ora che sia il risveglio per godermi la solita scorpacciata di endorfine post-gara che mi terranno compagnia, e spero addolciranno il campo di battaglia che saranno le mie gambe.
E tra un mese siamo in Francia…