La Swisspeaks 170 di Augusto

I racconti di Augusto sono sempre molto emozionanti, ma questo li supera tutti. Due giorni e mezzo di corsa, 167 km e 11200 m di dislivello positivo configurano un evento eroico. Ed all’arrivo Augusto ha indossato la maglia Avis Pavia !  
Il video dell’evento su youtube completa il racconto di Augusto. 

Settembre 2019, la sconfitta.
Al primo tentativo mi sorteggiano al Tor Des Geants, ma io mi ritiro per problemi fisici a due terzi, dopo 96 ore di gara.
E’ passato un anno, e non è trascorsa una sola settimana senza che io ci abbia pensato.
Un amico qualche mese fa mi propone una sfida: Swisspeaks 170, un percorso in linea che parte appena sotto ai ghiacciai del centro Svizzera e arriva al lago di Ginevra, 167 km e 11200 m di dislivello positivo, su sentieri pieni di rocce, pietre, sfasciumi, pochissimo corribili anche nei tratti in discesa.
A parità di caratteristiche con gare analoghe, i tempi dei primi e quelli medi sono più lunghi di parecchie ore, per dire che il tipo di fondo rende questo trail tra i più duri in Europa.
Parto con un misto di paura e motivazione: certo che la voglio finire, ma questa volta, soprattutto questa volta, la devo finire.
Non oso nemmeno pensare a che cosa succederebbe se mi ritirassi, sarebbe davvero lo sprofondo senza resurrezione. E con questo bel peso sullo stomaco affronto il viaggio del mercoledì pomeriggio, insieme con Carlo.
Arriviamo a Le Bouveret dove lasciamo l’auto per prendere la navetta che ci porterà alla partenza, a La Grand Dixence sotto a una diga enorme e maestosa.
La mattina mi proteggo i piedi (uno dei miei punti deboli) con una fasciatura che ho imparato a fare con il cerotto chirurgico, bene attento a coprire tutte le zone e a rivestire anche lo spazio tra le dita, sia per impedire la frizione con le calze che per evitare che entri polvere e pulviscolo che a lungo andare creano attrito.
Partiamo giovedì alle 10 e subito saliamo per restare appena sotto ai 3000 m. Neve e ghiaccio su alcuni punti, sempre un sole maestoso e cielo terso, con i panorami che si susseguono e fanno volare sia la testa che il cuore.
Il primo ristoro dove mi fermo un po’ è al 33km. Mangio e bevo e parto verso le 18,45 per affrontare 1700 m di dislivello negativo.
La voglia di arrivare a valle col chiaro prende il sopravvento e così corro per un’ora e mezza, quasi senza fatica.
Appena giù metto la frontale e mi accingo alla salita verso la prima base vita. E’ una notte bellissima di luna piena, che quando viene celata dalle cime attorno consente la vista di una stellata magnifica.
Mi sento benissimo, potrei andare avanti per ore (che è proprio quello che dovrò fare); a metà del bosco vedo una balise strana di colore verde, mi avvicino e scopro che sono gli occhi di una gatta nascosta tra gli alberi.
La chiamo e quella esce, avrà 6-7 mesi. La prendo in braccio e la accarezzo per qualche minuto, mentre un ragazzo tedesco mi chiede ridendo se è la mia. Domanda bizzarra, ma la situazione è parecchio strana, in effetti.
Proseguo e arrivo; purtroppo c’è Carlo che era parecchio avanti e sta tremando tanto da non tenere in mano il cucchiaio. Il fatto è che alla partenza dal ristoro precedente si è vestito troppo e ha sudato parecchio, e adesso all’aperto poco prima delle 23 la sta pagando.
Io mi ero infilato solo i manicotti e il buff attorno alla faccia, mi ero riscaldato subito correndo e è stato un attimo togliersi gli strati in più. Purtroppo lui non lo ha fatto, lo ritroverò più avanti dopo che avrà vomitato, trasportato dall’organizzazione e ritirato.
Io sto sempre meglio, dopo gli 850 m positivi decido di non fermarmi e affronto i restanti 1000 m verso Arpette.
Ora, io non riuscirò a spiegarmi per bene, ma gli ultimi 300 m sono stati semplicemente criminali: mi alzavo letteralmente aggrappandomi alle rocce, nessun sentiero ma solo le balises riflettenti, così per almeno due ore.
Da qui una lunghissima discesa che ho sofferto poco, per arrivare a un ristoro dove finalmente ho trovato una birra.
Superato un dente che mi mette alla prova scendo e risalgo per Finhaut, su un tracciato molto infido e pieno di acqua, che cerco di evitare per preservare i piedi.
Arrivo al ristoro verso le 6 e provo a dormire. Niente da fare, non siamo ancora a metà e la testa continua a lavorare.
Dopo un’ora comunque ristoratrice esco senza frontale e affornto le tre cime che segneranno la fine del tratto maggiormente alpino.
Ma prima di arrivarci ci sono salite infide (la prima con un positivo di 1600 m) e discese davvero impestate, l’ultima delle quali con catene e balzi di roccia che mi rallentano di molto.
Da qualche ora corro con Anne, che mi usa come lepre sulle salite e che mi chiede di darle il passo. Oggi per la prima volta ho i bastoncini, e devo dire che mi danno un aiuto insperato sia in salita che in discesa.
Il morale ha uno scossone insperato quando arriviamo al 100 km, finalmente la prospettiva è di avere meno strada da fare rispetto a quella fatta. Un po’ di impegno e arriviamo alla seconda base vita del 114 km. Ormai è di nuovo notte, ma in maniera completamente inaspettata il sonno non arriva, sono sveglio da quasi 40 ore e mi sento ancora pimpante. E la cosa ancora più sorprendente è che non sto avendo allucinazioni, la testa è ben vigile.
Alla base vita non c’è sostanzialmente niente da mangiare, la pasta calda viene servita con un sugo di carne che rifiuto, quindi me la danno solo scolata.
E hanno anche finito l’acqua fresca, davvero una cosa che grida vendetta.
Io vado alla sala massaggi dato che nel pomeriggio mi ero fermato a stendermi ma ho messo male la caviglia e ora il muscolo sopra al malleolo ne risente. Non c’è niente da fare e dopo un breve massaggio riparto con Anne.
Da qui proseguiamo come automi, cercando di mantenere una media rispettabile e tenendoci compagnia parlando per tutta la notte in francese dei fatti nostri, col tempo che vola e i km che si susseguono.
Arriva la seconda alba al 135 km e siamo felici di essere lì. Decidiamo di provare a dormire e ci mettiamo lei su un divano e io per terra. Ci appisoliamo per 20 minuti, poi suona la sveglia e noi usciamo mentre rischiara.
Affrontiamo la salita: lei mi chiede se a colazione ho mangiato un leone perché superiamo molte persone che erano partite prima di noi. Il fatto è che la birra che ho scovato al ristoro mi ha fatto bene, che il pisolino è stato adeguato, che sono contento di essere lì e che sento che forse forse la portiamo a casa.
Purtroppo dopo un paio di ore la devo lasciare, il muscolo indolenzito adesso tira proprio e mi faccio distanziare.
A poco a poco il dolore diminuisce e riesco a arrivare al ristoro del 150 km un’ora dopo di lei, che mi ha aspettato.
Le dico di proseguire, io devo riposarmi, e così accade.
Mangio polenta e formaggio, e mi ingozzo letteralmente di patatine alla paprika: la colazione del campione.
Basta, salitina e poi discesa. A questo punto ultima salita in assoluto, puntando i bastoncini sui sentieri in un crescendo di belle sensazioni all’avvicinarsi dell’ultima vetta. Arrivo a un villaggio in cima e corro verso l’ultimo ristoro. C’è gente e corro veloce per non farmi vedere piangere, col petto che mi scoppia.
Finalmente inizia l’ultima discesa al lago, e incontro Carlo che mi è venuto a accompagnare per il tratto finale di 10 km. Mi tiene compagnia (grazie) e mi distrae. Riesco finalmente anche a andare di corpo dopo più di 50 ore di astinenza, e pure queste sono soddisfazioni.
Arrivo al paese correndo, Carlo mi supera per andare a fotografarmi all’arrivo, per il quale mi sono appositamente messo la maglia dell’Avis Pavia.


Alle 15,30 di sabato è davvero la fine, è un sogno, mi siedo e sento Anne che mi chiama e mi abbraccia. Ci diciamo due cose, poi prendo una birra e mi faccio coccolare da Carlo che mi aiuta a rimettermi in sesto.
Le cose brutte non si cancellano, il ritiro di un anno fa non brucia di meno.
Ma oggi è giorno di festa, lasciatemi essere felice.

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