Ultra Tour del Monte Rosa

Questa volta il nostro Augusto ci regala un racconto emozionante e drammatico della sua recente partecipazione al Ultra Tour del Monte Rosa. Ed il finale é veramente incredibile ! Grazie Augusto !
Chissà se questa volta sarà stata proprio l’ultima.
Perché su quei sentieri ci ho sofferto, e mi sa che da qualche tempo (da qualche anno) la sofferenza è proporzionale al numero di anni che passano.
Ultra Tour del Monte Rosa, purtroppo percorso modificato e non bello come l’originale dato che era impossibile (causa pandemia) sconfinare dalla Svizzera all’Italia, 175 km e circa 10500 m di dislivello positivo.
Tempo limite 60 ore, mia proiezione (a finirla, beninteso) non meno di 55 ore.
Un po’ una replica della Swisspeaks dell’anno scorso, più km ma meno dislivello.
Arrivo a Grachen mercoledì verso le due e mi abbraccio subito con Anne, con cui ho corso la seconda parte dello Swisspeaks, che mi ha fatto da assistente al Gran Trail Courmayeur di due mesi fa, e con cui correrò questa visto l’affiatamento che ci unisce.
Paesino da cartolina, ritiriamo il pettorale e ci controllano fino al midollo il materiale.
Andiamo in camera e ci organizziamo per la cena: ho portato un po’ di cose cucinate da un amico della cooperativa “Il Balancin” dove faccio il volontario. Innaffiamo con birra.
Dormiamo ma non più di tre ore e mezza, la partenza è alle 4 di giovedì e ci svegliamo già prima delle 2. Ma con la voglia di partire, nonostante l’ora improba.
L’aria è fresca, tutto buio e cominciamo a salire, finché l’alba ci coglie e colora le cime tutto attorno.
Più che il Rosa è il Cervino a farla da dominatore: è una cima che non conosco, e per la prima volta resto impressionato dalla maestosità dei suoi profili, dalla asprezza dei suoi dettagli, dal gioco di continui cambiamenti di colore che coinvolgono il cielo terso e le nuvole bianche che lo nascondono e lo sfiorano.
A metà mattina mi capita una cosa mai provata prima, ho un fortissimo capogiro e un abbassamento di pressione che mi costringono a chiamare Anne e a sedermi su una roccia.
Gestisco il panico che potrebbe prendermi, mi riposo e arriviamo a un ristoro dove, anche se non ne ho voglia, mangio qualcosa.
Solo che mi va di prendere roba salata, evito stupidamente il dolce (ovvero benzina immediatamente disponibile) col risultato che dopo un paio di ore mi ricapita il tutto.
Questa volta però stringo i denti e non dico niente, per fortuna mi passa da sé e al ristoro successivo delle 13 deglutisco un po’ di dolce.
Stiamo fermi un po’ e alla ripartenza mi sento molto meglio. Anne intanto macina i km e le mie preoccupazioni nei suoi confronti scompaiono.
Arriviamo a Saas Fee al 37 km. Da qui parte un anello che ci riporterà lì al 61km. Ma l’anello è di una bellezza stratosferica, più e più volte ci fermiamo a guardarci intorno, sempre il Cervino che si staglia e incombe come un buon guardiano. I sentieri sono bellissimi, stretti e senza sfasciumi, ci permettono di sbacchettare in salita e di corricchiare in discesa, col tempo che passa e noi che siamo contenti di essere lì, insieme.
Torniamo a Saas Fee, e Anne ha i piedi in condizioni non buone. Siamo a un terzo del percorso e sono le 19, ci aspetta un tratto tutto in falsopiano in discesa di quasi venti km, difficoltà zero. Solo la noia può prenderci, ma col fatto che parliamo e ci teniamo compagnia riusciamo a superarlo in due ore e mezza, con una camminata veloce.
Sarebbe inutile correre, c’è ancora tanta strada; e infatti sulla salita notturna successiva (un drittone di 1200 m positivi in pochi km) ribecchiamo tutti quelli che ci avevano superato, ma nel senso che li sverniciamo in salita e ce li lasciamo indietro.
Adesso è notte piena, ci tocca arrivare alla prossima base coperta, dove Anne decide di mettersi in branda.
Questa è stata la cosa che ha un po’ deciso le rispettive gare: lei non riesce a dormire, io non ho assolutamente sonno ma la aspetto, sbagliando, invece di proseguire e attenderla almeno alla base successiva.
Invece entrambi ripartiamo dopo un’ora, lei depressa perché non ha dormito, io molto nervoso per lo stesso motivo, e soprattutto perché ho perso tutto quel tempo per una mia scelta errata.
A giorno fatto le dico che sono carico di una adrenalina cattiva, come se fossi una vescica di pus: devo lasciarla e sfogarmi: all’attacco di 700 m positivi in 5 km parto correndo (no, dico davvero) e mi faccio tutto il tratto in 40 minuti con una furia che non mi riconosco.
Arrivo al 111 km e lì la aspetto con la testa un po’ più leggera. Sonno nemmeno l’ombra e sono le 9.
Arriva, si toglie le scarpe, si alza e si mette a piangere: ha i piedi assolutamente fuori controllo, chiamo un medico che la visita e le dice che non può continuare.
Mi guarda e mi dice di andare (non potrebbe essere altrimenti) e di ricordarmi che da adesso dovrò correre anche per lei.
La lascio e proseguo, adesso sono altri 500m positivi in 5 km, e questa volta ci metto un po’ più di mezzora, ho ancora addosso una smania che ora riconosco pericolosa. Non ho ancora dormito ma non è questo a spaventarmi, il fatto è che sono sempre stato troppo sveglio, mai un accenno di sonno e quindi mai un minimo rilassarmi anche in movimento.
Tengo il passo e arrivo al 122 km, due terzi finalmente, sono le 13 di venerdì.
Da qui il tratto più ostico, e si badi che non è come al solito quando il pomeriggio del secondo giorno è foriero di crisi e stanchezza: qui io sto bene, ma 19 km senza un ristoro in un su e giù continuo mi prostrano, anche per la mancanza di veri tratti alpini. Forse una maggiore difficoltà fisica mi avrebbe aiutato.
Quasi al 135 km, in un tratto su pietroni assolutamente non corribili, raggiungo Corrado, e sono felicissimo di avere di nuovo un compagno.
Parliamo e raggiungiamo il 140km, in cima a un cucuzzolo dannatamente ripido.
Mangio, bevo, mi vesto.
Prospettiva: discesa di 17km, fondo valle, ultima base vita, salita e ultimo tratto di 21km con sentieri infidi e aguzzi.
Da qui inizia un deja-vu che mi convince che ci sono già stato. Non solo, proprio con Corrado.
Si fa buio, ma sono estremamente tranquillo e la cosa (che vivo in maniera assolutamente lucida) non mi spaventa, solo una piccola distorsione cognitiva che il mio corpo per chissà quale motivo ha scelto come estrema autodifesa.
Scendiamo a buon ritmo, raggiungiamo alcuni punti salienti, mettiamo giacca e frontale, arriviamo alla base vita.
Qui dico a Corrado (poi mi ringrazierà, ma mai quanto io ringrazio lui) che dobbiamo dormire. Verso le 23 finalmente è branda: all’inizio temo di non addormentarmi, ma poi scoprirò che in meno di due minuti ho preso sonno, fino a quando Corrado dopo 40 minuti mi sveglia.
Minchia! Mi alzo e sono un grillo, mi vesto e partiamo.
Strada, bosco, sentiero, sassi, roccia: in un attimo siamo di nuovo in alto.
Adesso sono ore di sentiero, ma sentiero esposto con tratti attrezzati (siamo ormai dopo la mezzanotte) e pezzo dove attaccarsi con le mani. Ma non per salire, proprio per esporsi fuori dal sentiero per oltrepassare spuntoni di massi che impediscono di proseguire. Insomma, tratti dove di giorno avrei paura per i miei figli.
Ma adesso tocca andare, e si va. Con cautela, mediata dalle ore di gara e dalla stanchezza che indubbiamente ci avvolge.
Verso le 3 di sabato mattina perdo la cognizione del tempo che passa, e di quello che deve ancora passare, ma va bene così. Sono all’erta e ormai solo precipitare in fondo a un burrone (!) o qualche scarica di pietre che ogni tanto si sente (!) potrebbe fermarmi.
Inutile descrivere, procedo a ritmo costante, fino all’ultima discesa. Qui dico a Corrado di lasciarmi e procedo col mio ritmo per gli ultimi 4 km.
Al paese c’è Anne che mi saluta, sono le 5. Come sto facendo da quasi 1km continuo a correre, vedo il traguardo e lo passo.
2 giorni, 2 ore, 2 minuti. Arrivo poco dopo le 6 di sabato mattina. Beh, molto meglio del previsto.
Al mio fianco c’è di nuovo Anne che mi accompagna in camera. Le dico che non voglio dormire, adesso doccia prima di dover lasciare l’albergo alle 10 (se dormissi ora non riuscirei a svegliarmi dopo tre ore), lei va a bere un caffè e io mi lavo e mi rivesto.
Adesso sono le nove, siamo di nuovo insieme e le faccio un sacco di domande, ma le risposte sono di circostanza. Purtroppo.
Andiamo alle nostre auto, le lascio i regali che le avevo portato e ci lasciamo. Poi io torno in piazza per ritirare le sacche dei miei ristori, e nel frattempo guardo la gente che arriva come me ore prima.
Sono felice, bevo un paio di birre, dormo un’ora in auto, aspetto ancora fino alle 11. Poi finalmente riparto.
Sul ritorno mi fermo al confine e dormo di nuovo. Poi un’altra birra.
Sabato verso le 17 sono a casa.
Non voglio riposarmi, sbaracco tutti i bagagli, metto a posto i materiali. Insomma, smaltisco le endorfine.
Verso le 19 mi metto a letto, ma dopo un’ora vado a cena con la famiglia.
E domenica mattina alle sette vado a correre, 12 km tranquilli tranquilli, giusto per provare la gamba.
Che sta bene, in buona compagnia di testa e cuore.
Ne valeva la pena, davvero.